L’espatrio di Filippo Turati nella testimonianza di Sandro Pertini
Filippo Turati, considerato per la sua statura politica e morale il vero rappresentante dell’antifascismo, doveva evadere dal grande carcere che stava divenendo l’Italia dopo le leggi eccezionali, per andare all’estero e levare dinanzi al mondo intero la protesta degli uomini contro la dittatura fascista.
Riuscito a fuggire il 24 novembre 1926 dalla sua casa di Milano, nonostante la rigida sorveglianza poliziesca, si rifugia a Caronno, in quel di Varese, nella casa del giornalista Ettore Albini. Scoperta la fuga di Turati, Mussolini dà ordine di ritrovarlo. Tutte le stazioni dei carabinieri sono mobilitate. L’8 dicembre, eludendo ogni vigilanza, si riesce a condurre Turati nella mia città, Savona. Si era giustamente pensato di dare a Turati un compagno di viaggio. Fui scelto io anche perché la Commissione per il confino di polizia di Savona mi aveva condannato a cinque anni di confino, e per questo ero ricercato.
Cliccare qui per il testo completo tratto da Sandro Pertini. Combattente per la libertà a cura di S. Caretti e M. Degl’Innocenti, Manduria-Bari-Roma, Piero Lacaita Editore, 2017.
Delitto dei fratelli Carlo e Nello Rosselli
(9 giugno 1937 – 9 giugno 2017)
SOCIALISMO LIBERALE E SOCIALISMO EUROPEO
Definisco qui “socialismo liberale” una tendenza caratterizzante la fase iniziale del movimento di “Giustizia e Libertà”, componente dell’antifascismo italiano tra le due guerre, che perseguiva nella e attraverso la lotta al fascismo anche il rinnovamento del socialismo italiano (e non) intorno all’Etica e ai valori spirituali, riassunti nel concetto di “nuovo umanesimo”. Di tale tendenza si evidenziarono diverse versioni o approcci, ma si può dire che essa era largamente riconducibile alla figura di Carlo Rosselli, prendendo nome e definendosi infatti in rapporto al saggio Socialisme Liberal, scritto dal medesimo al confino di Lipari, e poi, con qualche integrazione e correzione, pubblicato a Parigi nel 1930.
Cliccare qui per leggere l’intero saggio da Carlo Rosselli e il socialismo liberale, a cura di Maurizio Degl’Innocenti (Lacaita, 1999), pp. 65-107.
Il processo alle Brigate Rosse
(Torino, 17 maggio 1976 – 23 giugno 1978)
di Emilio Raffaele Papa
Cinque domande all’autore
D. Caro professore, rispetto alla prima edizione del Suo saggio, da tempo esaurito, ha inserito parti nuove?
R. Ho aggiunto al racconto del processo alla Corte d’Assise di Torino(1976-1978) ai capi storici delle Brigate Rosse ,una parte introduttiva, ed un capitolo di conclusioni. Perché mi è sembrato opportuno dopo ormai quarant’anni, parlare di tale avvenimento anche sul piano dell’analisi storica, e trarre qualche insegnamento da una tanto drammatica esperienza.
D. Nell’ambito delle organizzazioni terroristiche europee, quale tratto caratteristico rivestivano le Brigate Rosse in Italia?
R. Dopo il 68, su altro piano ideale, si formarono in Europa organizzazioni comunistiche alcune delle quali passarono all’azione terroristica. Accanto a queste prese piede in Italia il caso specifico delle BR , le quali credettero in un loro piano politico di azione terroristico-rivoluzionaria, di tipo dimostrativo delle loro possibilità di successo ed in attuazione di principi eversivi che propagandavano con “comunicati” di denunzia e di imminente loro vittoria. Cercavano di creare via via le condizioni per il crollo e per la resa del “sistema capitalistico italiano” , alimentando una sempre crescente paura.
D. A Suo avviso, si può parlare di una parabola del terrorismo brigatistico?
R. Ci fu, in effetti, una escalation del terrorismo brigatistico; il quale raggiunse il suo massimo successo con il sequestro dell’on. Moro (dopo un susseguirsi di rapine, di conflitti a fuoco anche in campo aperto con le forze dell’ordine – e perfino la conquista di un carcere, per liberare un brigatista che vi era recluso).
D. Quale rilevanza ebbe il processo alle Brigate Rosse nella storia giuridica del nostro Paese, anche in relazione all’autodifesa sostenuta dagli avvocati?
R. Il tema dell’autodifesa che gli avvocati inutilmente sostennero al processo fu un tema di valore civile inoppugnabile, ma diede vita ad un dibattito il quale non andò poi avanti dopo il processo. E’ la regola di sempre. Quando una civiltà giudiziaria è tenuta a bada da una inefficiente classe politica, passato il pericolo dell’eversione, le posizioni più evolute perdono campo. Ed i grandi temi restano fra le quinte, ormai…inermi.
D. Quale fu la Sua diretta esperienza?
R. Gli avvocati difensori di ufficio, rifiutati dai loro difesi, ed anzi, dagli stessi “condannati” (“spareremo sulle vostre toghe”) al processo si sentirono uniti, malgrado fossero delle più disparate opinioni politiche. Io mi destreggiavo fra le lezioni universitarie e le interminabili udienze del processo, quasi abbandonando il mio studio legale. Non furono giorni facili. Fuori dall’aula del processo, la gente ci guardava quasi facessimo parte di uno spettacolo. Non realizzava la portata degli avvenimenti.
Il delitto Matteotti
(10 giugno 1924-10 giugno 2017)
La pietra che separa l’on. Matteotti dal popolo italiano, Scalarini sull'”Avanti!”