Alla segreteria del Partito socialista unitario


Il tentativo dei socialisti riformisti di condizionare i Governi liberali per una più efficace politica di contenimento del fenomeno squadristico, in particolare dopo le elezioni del 15 maggio 1921, andò fallito, non ultimo per l’esclusione di ogni collaborazione parlamentare proclamata dalla direzione massimalista del Partito, che doveva fronteggiare l’estremismo del neo costituito Partito comunista, nato dalla scissione al XVII Congresso del Partito Socialista Italiano (gennaio 1921), negli echi della Rivoluzione bolscevica. Quando il 4 ottobre 1922 si costituì il Partito socialista unitario, di indirizzo riformista, Matteotti ne assunse la segreteria. Segnalandosi come uno dei leader più competenti del socialismo europeo, denunciò i limiti della pace di Versailles nell’imposizione delle pesanti riparazioni di guerra alla nuova Germania democratica, con i rischi conseguenti del risorgente nazionalismo e, con esso, di un futuro e più rovinoso conflitto mondiale.

Nelle Direttive dell’aprile 1923, manifesto programmatico per un socialismo rinnovato, Matteotti si rivolgeva non più solo agli strati proletari, ma anche “ai più colti e moderni della borghesia”, sulla base della irrinunciabilità del metodo democratico, imperniato sulle libertà politiche e sul sistema rappresentativo, perché migliore delle dittature e delle oligarchie avendo il vantaggio della libera critica. Restava fedele al principio della lotta di classe, ma distinguendola dalla guerra di classe, perché implicava un quadro di regole condivise e tale da sollecitare in ognuno l’aspirazione “ad elevarsi nella coordinata armonia di tutti per la comune ascensione”. Declinava la tradizionale logica produttivistica nella lotta alla rendita. In una prospettiva già europeista ribadiva che la “nazione, realtà geografica e vivente, entro cui tutti viviamo e cresciamo” era la condizione prima del “domani socialista”, un “domani” concepito a beneficio di tutti, e non di una classe esclusiva.
 
Con le politiche del maggio 1924 percepì che la lotta politica era entrata in una fase nuova, che richiedeva gente di volontà per “una resistenza senza limite” contro la dittatura fascista, essendo convinto che il fascismo dominante non avrebbe mai deposto le armi né tanto meno restituito spontaneamente all’Italia un regime di legalità e di libertà. E allora Matteotti si rivolse ai “puri di cuore”, ricercando “gli atti di coraggio e di fermezza dei compagni, perché da allora in poi il Partito avrebbe dovuto attingere alle energie morali intatte in mezzo al frantumarsi dell’inquadramento materiale”. La dimensione della lotta al fascismo si spostava sul piano dei simboli, dei valori, delle idee, del carattere. Il martirio di Matteotti ne avrebbe rappresentato l’apoteosi.

 

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