La legge che consente lo scioglimento del matrimonio è la numero 898 del 1 dicembre 1970, ed ebbe promotori il socialista Loris Fortuna e il liberale Antonio Baslini. Il provvedimento fu varato con un governo di centro-sinistra presieduto da Emilio Colombo e con vice Francesco De Martino, su esplicita richiesta dei socialisti e dei laici. La Democrazia cristiana accettò, ma in cambio impose il ricorso al referendum abrogativo, che in effetti si tenne nel 1974, con esito negativo. Era la prima volta che nel secondo dopoguerra la Dc andava in minoranza nel Parlamento, e l’esito del referendum sancì la conseguita laicizzazione della società italiana, tra le ultime in Europa sul regime matrimoniale. Fu un colpo anche contro il maschilismo patriarcale, certo non decisivo, ma assai significativo, tanto che di lì a poco, nel 1975, sarebbe stata approvata anche la riforma del diritto di famiglia. Insomma, fu un evento di civiltà. Per comprenderne la portata sia sufficiente ricordare che la prima e ultima volta dell’inserimento dell’introduzione del divorzio in un programma di Governo fu con l’Esecutivo Zanardelli-Giolitti del 1901-3, quello della “svolta liberale”. Allora la protesta di massa dei cattolici e delle gerarchie ecclesiastiche consigliò il Governo a soprassedere dall’obiettivo che pure era già stato annunciato dal Re nel discorso della Corona. Successivamente non se ne parlò più, per oltre sessant’anni…
(Maurizio Degl’Innocenti)
Opuscoli e testate della campagna divorzista degli inizi del ‘900 (BIBLIOTECA della Fondazione di studi storici “F.Turati”)