In questo opuscolo sono riassunti e tradotti in piano linguaggio i principii e i metodi del Partito Socialista Unitario.
Se qualcuno non è stato ancora fissato dai nostri Congressi, o può essere soggetto a revisione e ad ulteriori sviluppi, bene è che frattanto possa essere liberamente studiato e discusso nelle riunioni. Rivedere la propria dottrina, saggiarla e aggiornarla al confronto della esperienza è cosa degna di un partito d’avvenire che vuole essere al tempo stesso un partito di realtà.
Ricordiamo qual’era la condizione delle plebi italiane trenta o quarant’anni sono. Ricordiamo la feconda opera di redenzione svolta dal Partito Socialista, e i magnifici risultati, in tutti i campi, dell’associazione, della cooperazione, della civiltà del lavoro. Possiamo esserne orgogliosi! L’ascesa e lo sviluppo dell’Italia nel concerto civile delle nazioni, coincidono perfettamente con l’ascesa e lo sviluppo del Partito Socialista e delle libere organizzazioni operaie.
La guerra prima, poi le conseguenti illusioni estremiste di ieri, la reazione e la violenza fascista di oggi, hanno interrotta e distrutta molta parte del nostro lavoro.
Ebbene, lo rifaremo!
Il socialismo è un’idea che non muore!
Come la libertà!
Anche nell’ora delle avversità “rivendichiamo la nostra fede” riaffermiamo i nostri principi “correggiamo i nostri errori” riportiamo tra i lavoratori la luce e la speranza della redenzione “prepariamo le nuove coscienze più salde e più pure” per il trionfo de! lavoro, nella grande solidarietà umana.
Il Partito Socialista Unitario.
Il Partito Socialista Unitario può definirsi il Partito Socialista che, dopo successive differenziazioni e separazioni da altre correnti, si richiamò alle origini e volle restare fedele alle basi fondamentali del Congresso di Genova del 1892 (nel quale il P. S. era sorto, distinguendosi e staccandosi così dalla Democrazia come dall’Anarchismo) con tutte le naturali e necessarie revisioni e integrazioni che 30 anni di vita e di vicende insegnarono. Il programma di Genova era il seguente:
“Considerando che nel presente ordinamento della società umana gli: uomini sono costretti a vivere in due classi: da un lato i lavoratori sfruttati, dall’altro i capitalisti detentori e monopolizzatori delle ricchezze sociali;
che i salariati d’ambo i sessi, di ogni parte e condizione, formano per la loro dipendenza economica il proletariato, costretto ad uno stato di miseria d’inferiorità e di oppressione;
che tutti gli uomini, purché concorrano secondo le loro forse a creare e mantenere i benefici della vita sociale hanno comune il diritto a fruire di codesti benefici, primo dei quali la sicurezza sociale dell’esistenza;
Riconoscendo che gli attuali organismi economico-sociali, difesi dall’odierno sistema politico, rappresentano il dominio dei monopolizzatovi delle ricchezze sociali e naturali sulla classe lavoratrice;
che i lavoratori non potranno conseguire la loro emancipazione se non mercé la socializzazione dei mezzi di lavoro (terre, miniere, fabbriche, mezzi di trasporto, ecc.), e la gestione sociale della produzione;
Ritenuto che tale scopo finale non può raggiungersi che mediante l’azione e la forza del proletariato organizzato in PARTITO DI CLASSE indipendente da tutti, gli altri partiti, esplicantesi sotto il doppio aspetto:
1) della LOTTA DI MESTIERI per i miglioramenti immediati della vita operaia (orari, salari, regolamenti di lavoro, ecc.), lotta devoluta alle Camere del Lavoro ed alle altre Associazioni di arti e mestieri;
2) di una lotta più ampia intesa a CONQUISTARE I POTERI PUBBLICI (Stato, Comuni, Amministrazioni pubbliche, ecc.) per trasformarli da strumenti che oggi sono di oppressione e di sfruttamento, in strumenti per l’espropriazione economica e politica della classe dominante,
I lavoratori italiani, che si propongono la emancipazione della propria classe, deliberano : di costituirsi in PARTITO informato ai principi suesposti”.
Dopo la guerra, al Congresso di Bologna, ottobre 1919, questo programma fondamentale fu modificato[1]. Noi rimanemmo tuttavia nel Partito, per non dividere la classe lavoratrice, per prospettare e propagandare i nostri principii fra il proletariato momentaneamente acceso di tutte le passioni e i miraggi diffusi dalla guerra e dall’esempio di Ungheria e di Russia, e conia certezza che ben presto esso si sarebbe ricreduto. Infatti, mentre a Reggio Emilia nel 1920 in una mozione riaffermavamo tutti i nostri principii, a Livorno nel gennaio 1921 uscivano dal Partito gli estremi seguaci del verbo di Mosca, Rimaneva per “il massimalismo, con tutte le sue incertezze tra le parole e la pratica, tra la adesione ai metodi di Mosca e l’aperto ripudio; fino al Congresso di Roma, ottobre 1922, quando (con voti 32 mila contro 29 mila unitari, oltre 3 mila astenuti e 8 mila non votanti!) furono espulsi i socialisti colpevoli di avere tenuto fede alle nostre origini, e di non aver volato cedere alle illusioni della violenza e della dittatura.
Formammo allora il Partito Socialista Unitario, che si chiamò con questo nome anche per significare che vi avevano diritto di cittadinanza non solamente i socialisti di destra, ma tutti i socialisti che avevano votato contro la scissione del Partito, e che non avevano voluto sottoporsi alla dittatura della cosidetta Internazionale di Mosca; mentre rimasero dall’altra parte i fautori della divisione, che volevano deviare il socialismo italiano nelle nuove illusioni del comunismo.
Così non vi può essere più alcuna confusione: – tutti i socialisti sono e possono essere con noi nel nostro Partito – fuori di esso sono tutti i comunisti, siano essi comunisti di fatto e di nome; oppure continuino nell’equivoco di prima.
Quello che intendiamo per metodo democratico.
Il Partito Socialista Unitario repugna dal metodo della Dittatura e della violenza. Esso riconosce che in fatto la violenza non può essere cancellata dalla storia, e che occorre anche prevederla per difendersene; ma non può e non deve accettarla come metodo. Esso subisce in questo momento la dittatura di una fazione favorita della classe capitalista; ma a tanto maggiore ragione non può indicarla come propria aspirazione ideale. La guerra, che noi detestiamo fra le nazioni, neppure la desideriamo fra le classi, perché non risolve definitivamente nessuna quistione, ma tutte le perpetua in un’alterna vicenda di oppressioni e di distruzione dei migliori prodotti della civiltà e del lavoro.
I socialisti credono invece condizione necessaria per lo sviluppo e l’emancipazione della classe lavoratrice, il metodo democratico e una atmosfera di libertà politica.
Ciò non vuol dire, come alcuni temono; che noi vogliamo resuscitare gruppi e situazioni parlamentari di una certa democrazia che diede tanta prova della sua incapacità e mancanza di dignità. Ma riteniamo che lo stesso interesse che hanno gli operai, i contadini e i lavoratori intellettuali a un regime politicamente libero e civile, abbiano tutti i ceti medi, e possono averlo anche l’industria, il commercio, l’agricoltura, intesi come produzione e non come parassitismo.
Poiché libertà non significa licenza, né democrazia dovrebbe significare disordine o incapacità.
Noi. riconosciamo alle maggioranze liberamente associate il diritto di dirigere la cosa pubblica, e il diritto di difendersi contro i tentativi di sopraffazione di minoranze e di gruppi che pretendono di conquistare il potere con la violenza. Ma contemporaneamente deve essere riconosciuto e difeso ad ogni costo, per ogni minoranza, per ogni gruppo e per ogni persona, il diritto di propagandare il proprio pensiero e la propria dottrina, il diritto di vita, di riunione, di associazione, di stampa, per cercare di conquistare liberi consensi e di divenire maggioranza, influendo frattanto sulla cosa pubblica in ragione della forza di interessi e di idee rappresentati.
Non sempre è vero, le maggioranze hanno ragione, e non sempre i liberi regimi rappresentativi sono stati i migliori; ma, in confronto delle oligarchie e delle dittature, hanno almeno il vantaggio della libera critica e quindi della capacità di correggere i propri errori, attraverso una consapevole rivalutazione della realtà.
L’aperto e libero contrasto dei partiti permette alle masse di formarsi una coscienza piò sicura dei propri diritti e doveri ; e permette anche quella reciproca influenza e trasfusione di forze e di idee, in che si sostanzia il vantaggio della graduale trasformazione e del progresso in contrasto col metodo distruttivo, che è poi il più dannoso di tutti.
La libertà politica del cittadino non è veramente sufficiente, fino a quando manca la libertà economica del lavoratore, che per vivere può essere costretto a rinnegare o nascondere le proprie idee. Ma l’uno è fondamento indispensabile per raggiungere l’altra.
La classe che forma la grande maggioranza di coloro che lavorano e producono, è certa di conseguire e mantenere il governo della cosa pubblica, Via via che essa conquista coscienza dei suoi diritti e capacità di adempiere al proprio dovere di solidarietà con i compagni di lavoro e di sofferenze.
Lotta di classe.
Siamo quindi anche per la lotta di classe e non per la guerra di classe.
Lotta di classe, cioè difesa del lavoro sul terreno economico, per l’ascensione continua della forza, e della capacità dei lavoratori, che devono tutelare i loro salari e limitare sempre più il parassitismo capitalista. Lotta di classe, cioè difesa del lavoro sul terreno politico, per rivendicare ai lavoratori, che sono la grandissima maggioranza, il diritto di influire e di governare anche la cosa pubblica.
Lotta di classe, non per distruggere in un’eterna contesa le fonti della produzione; ma per aumentare la produzione regolandola nell’interesse della, collettività operosa e non di una oligarchia sfruttatrice dei lavoratori e dei consumatori. Lotta di classe, non per emancipare una classe e opprimerne un’altra; ma perchè tutti i privilegi di classe siano aboliti, e tutti i cittadini siano eguali di fronte all’obbligo di cooperare alla produzione della ricchezza e al maggior benessere economico.
Lotta di classe, non per mantenere l’odio del pezzente contro chi è ben vestito: ma per suscitare in ognuno la dignità di uomo e l’aspirazione o la capacità di elevarsi : non contro i propri simili, ma nella coordinata armonia di tutti per la comune ascensione. Lotta di classe, non per raggiungere una impossibile uguaglianza meccanica di tutti gli uomini; ma per dare a ogni nato di donna la possibilità massima di sviluppare le sue capacità e attitudini al lavoro a vantaggio della collettività.
Collaborazione.
La lotta per la redenzione della classo lavoratrice esclude indubbiamente quella pretesa armonia delle classi, che si fonda ipocritamente sulla conservazione del privilegio della classe dominante.
Ma non esclude la eventualità e la possibilità di collaborazione di classi e dipartiti diversi.
Già ogni forma di convivenza civile importa necessità più o meno manifesta di cooperazione e crea coincidenze obbiettive, automatiche, involontarie di interessi. Tanto più strette e frequenti esse sono nella società moderna in cui i legami e le interdipendenze tra individui, tra ceti, tra popoli, tra continenti, si vanno ogni giorno moltiplicando e intrecciando.
Nel campo stesso dei rapporti tra capitale e lavoro, mentre vi è lotta per la divisione del profitto, vi può essere coincidenza d’interesse nello sviluppo dell’azienda e nell’aumento o miglioramento della produzione. La lotta in ogni caso deve colpire il parassitismo, non la produzione; altrimenti i colpi rimbalzerebbero sul lavoro medesimo e sui consumatori.
D’altra parte può essere anche utile e opportuna, agli stessi fini di redenzione della classe lavoratrice, una collaborazione con gruppi o partiti di classe diversa. Se un gruppo borghese, per esempio, all’intento di ottenere una migliore produzione, vuole favorita la istruzione popolare, conviene a noi di appoggiarlo contro gli altri che preferiscono la ignoranza del popolo. Se una parte della borghesia è con noi concorde nel volere ristabilita la libertà dell’organizzazione operaia, la libertà del voto, la pace internazionale ecc., sarebbe delittuoso lasciarla in minoranza di fronte alla dominazione di altri gruppi più reazionari, invece di aiutarla a formare contro questi urna maggioranza vittoriosa.
Il contratto eventuale con altri gruppi non diminuisce per nulla, nelle sicure coscienze, gli ideali più vasti e lontani, nè la volontà di attuarli integralmente ; e può permettere intanto di. raggiungere le tappe più vicine, comuni anche ad altri, nelle quali sia più facile rinsaldare le capacità dei lavoratori per ulteriori sviluppi. Praticamente, è tutta una questione di dignità e di misura, di accortezza e di saldezza, affinchè il contatto non devii, non snaturi, non corrompa, e da esso derivi il massimo di vantaggio e il minimo di danno.
La Nazione.
Ci accusano di essere contro La Patria. Da un lato la aspirazione internazionale del proletariato per la propria emancipazione di classe, dall’altro la avversione che spesso concepisce il lavoratore, l’emigrante verso la “Patria” che gli appare avara ed ingrata, perchè egli la confonde col regime sociale che vi domina, hanno diffusa l’opinione di una indifferenza o di una avversione socialista alla nazione. Codesta opinione si è accentuata per l’atteggiamento da noi tenuto verso la guerra: perchè, eravamo stati avversi alla guerra, si diede ad intendere che noi fossimo nemici della Patria e volessimo la sconfitta dell’Italia.
La verità è che la nazione è una realtà geografica e storica, economica e politica, entro cui tutti viviamo e cresciamo. Fingere di ignorarla o di essere indifferenti alle sue sorti, sarebbe come dire che ci è indifferente che il proletariato italiano viva in un paese a sviluppo capitalistico o nel centro dell’Africa; abbia cioè o non abbia le condizioni prime del suo dimani socialista.
Il socialismo, anche rispetto alla nazione, vive in una situazione analoga in certo modo a quella in cui si trova rispetto al capitale. Deve nello stesso tempo operare a trasformare il regime, per trasferire sempre più. E’ il potere da una oligarchia di classe alla collettività lavoratrice; e deve operare e cooperare a mantenere e aumentare il patrimonio di prosperità, di sviluppo di progresso della nazione, perchè ciò risponde non solo all’istinto di cittadini, ma anche all’interesse di socialisti.
Anche in una guerra, in una crisi conseguente a una politica di cui non è nostra la responsabilità, noi siamo legati alla sorte della nazione. Nè vale il dire che poichè d’altri è la colpa, altri pensi a risolvere la crisi: la colpa è! di altri, ma le conseguenze sono di tutti, sono anche nostre, e ricadono più spesso sulle spalle del proletariato.
Quindi noi intendiamo operare per una pacifica convivenza tra le nazioni, anzi per ottenere che la solidarietà e la forza dei lavoratori organizzati di tutto il mondo facciano cessare o impediscano definitivamente conflitti e guerre. Ma, se frattanto un esercito di rapinatori volesse valersi, delle armi per togliere ai cittadini di una nazione il frutto sudato del loro lavoro, o per sottoporli a un regime di schiavità politica e economica, è indubitabile la necessità della resistenza di tutti i lavoratori, per non cadere nella doppia schiavitù del capitalismo nazionale e del capitalismo dello Stato invasore. Il caso della Germania e della invasione della Ruhr è ancora davanti ai nostri occhi.
L’Internazionale socialista.
Ma ciò non importa, anzi esclude ogni complicità con gli opposti nazionalismi, e ogni adesione alle lotte tra i diversi capitalismi.
Il nazionalismo infatti non si limita a promuovere lo sviluppo di una nazione nella propria capacità di produzione o di coltura; ma assai più si .fonda sulla forza materiale e sulla capacità di dominare altri popoli e di sfruttarli. Esso vuole arrecare ad altri un male di cui pur vuole difendere se stesso ; e dal conseguente contrasto dei nazionalismi nemici, sorge una continua cagione di armamenti offensivi e di guerre, le quali non hanno mai altro risultato che di creare una nazione di oppressori e una di oppressi, e di distruggere periodicamente enormi ricchezze e vite umane.
II socialismo, al contrario, vuole la libertà di tutti i popoli e non può ammettere che la libertà e il benessere di una nazione si fondino su la schiavitù e lo sfruttamento di un’altra. Se esso lotta contro lo sfruttamento tra cittadini di uno stesso Stato, tanto meno potrebbe consentire a quello esercitato da uno Stato contro i lavoratori di un altro. Anzi, dal rilievo sperimentale e costante, che le cause vere dei conflitti tre le nazioni sono quasi sempre le esagerazioni del nazionalismo, la degenerazione dello spirito di difesa in quello dell’aggressione, e il contrasto oscuro dei capitalismi; e le conseguenze sono un aumento di sofferenza e di impoverimento dei lavoratori vincitori e vinti, la, perduta libertà dei vinti, la dittatura o la reazione nei vincitori, e la seminagione di nuove cause di conflitto – il partito socialista trae motivo per una assidua azione internazionale avversa ai conflitti e alle guerre.
L’azione internazionale è in perfetta relazione con l’amore dei socialisti italiani per il loro paese, in quanto l’Italia ha tutto da guadagnare gialla pace e dal ristabilimento dei rapporti economici; mentre assai pericolose e dannose alla nazione sono certe unioni o alleanze più o meno manifeste tra Governi borghesi contro altri Governi, per costituire monopolii economici’, preparare guerre, o togliere comunque la libertà ad altri popoli. Il capitalismo, che più si. vanta di essere paladino della patria, in realtà è stato il più sollecito a tessere rapporti con capitalismi esteri, quando gli parve utile, e talvolta raggiunse il risultato di promuovere il lavoro con i capitali delle nazioni più ricche, tal altra invece, assecondando scopi politici di asservimento e di odio nazionale, ebbe a sacrificare il lavoro anche alla, speculazione straniera.
L’Internazionale socialista mira invece a difendere e sostenere sempre la comune causa del lavoro, contro il parassitismo e la speculazione sfruttatrice dei diversi capitalismi. Dovrà quindi tentare o favorire ogni iniziativa che dirima i conflitti tra i popoli, li associ con vincoli pacifici, eviti o faccia cessare le opposte violenze e minacce. Dovrà favorire il formarsi di una vera Lega della nazioni, e più immediatamente degli Stati Uniti d’Europa, che si sostituiscano alla frammentazione nazionalista in infiniti piccoli stati turbolenti e rivali. Dovrà rafforzare i sentimenti di solidarietà tra i lavoratori di tutto il mondo, per modo che si aiutino scambievolmente nella, comune opero, di redenzione sociale; dovrà sopratutto sospingere in ogni nazione la classe lavoratrice al potere politico, per assicurare il suo massimo interesse alla pace universale e alla prosperità di tutti coloro che lavorano, e per preparare in un più lontano avvenire il regno universale del lavoro[2].
Lo Stato e il Comune.
La nostra posizione ideale e pratica rispetto alla nazione, si ripete in certo modo anche rispetto allo Stato che è la struttura storico-politica con cui. la classe dominante ha congegnato e consolidato il suo potere. Anche qui si ripete il contrasto tra la concezione catastrofica e la gradualista: abbattere lo Stato o trasformarlo? negarlo o penetrarlo?
Idealmente lo Stato, dovrebbe rappresentare la generalità di tutti i cittadini su un determinato territorio; spetta ad esso emanare e custodire le leggi che regolano i rapporti civili; senza uno Stato e senza leggi, sarebbe il disordine, la sopraffazione brutale di un individuo contro l’altro o di gruppi di cittadini contro altri.
Se lo Stato è governato dalla classe capitalista, nostro compito non è quello di abbattere senz’altro lo Stato, ma di rafforzare la nostra propaganda e la lotta civile, affinchè i lavoratori che costituiscono la maggioranza, acquistino sempre maggior peso nello Stato, fino ad avere il potere politico, per trasformarlo ed amministrare la cosa pubblica a beneficio di tutti coloro che lavorano e producono in modo socialmente utile.
Se le norme che regolano attualmente le funzioni e la costituzione dello Stato, non tengono sufficiente conto degli interessi e delle aspirazioni della classe lavoratrice, i socialisti devono dare opera affinchè siano modificate, e trasformate.
Se dello Stato s’impadroniscono minoranze faziose le quali pretendono, con la violenza, di negare alla maggioranza il diritto di scegliersi i suoi governanti, e alle minoranze il diritto di propaganda, la prima necessità è di riconquistare ai cittadini gli elementari diritti civili di libertà.
Ma dello Stato, civilmente governato dai rappresentanti della libera maggioranza, conviene riconoscere in un certo senso l’autorità e il diritto di difesa. Vi è anche un interesse dei lavoratori a una custodia severa delle leggi, a una giustizia imparziale e indipendente, a una finanza rigorosa che stabilisca il pareggio tra le entrate e le spese e non diminuisca mai il patrimonio collettivo. Non è contro di queste che lotta il proletariato ; ma contro poliziotti o giudici che, invece di rendere giustizia., si mettono al servizio della fazione dominante, e contro la finanza fatta nel solo interesse della classe che cerca di rovesciare i pesi della guerra sulla classe lavoratrice o che abbandona il patrimonio collettivo a privati e ingordi speculatori. Non è dalle distruzioni e dal disordine, ma dallo sviluppo economico e morale che il socialismo attende il proprio avvenire.
Come lo Stato, così il Comune rappresenta in più piccolo territorio la collettività. Determinato il suo campo d’azione, gli deve essere lasciata autonomia sufficiente a raggiungere i fini proposti. Non può essere consentito alla prepotenza di un Governo, nè a un gruppo di facinorosi, di sostituirsi alla rappresentanza della libera volontà popolare o di ostacolarne l’azione contenuta dentro i limiti della legge. Ricordiamo l’opera svolta dai Comuni socialisti, specialmente avanti la guerra, in fatto di igiene, istruzione, viabilità, edilizia ecc. Purtroppo in non poche parti d’Italia, di fronte a una borghesia arretrata e feudale, e nella assenza di vere e ardite correnti democratiche, toccò al nostro Partito, e a. lavoratori anche meno esperti, di. adempiere anche al compito di un generale rinnovamento civile, che potrebbe chiamarsi presocialista. Una tale opera noi riprenderemo con incrollabile fede, con la convinzione che nel Comune noi possiamo anticipare quei modi di convivenza, quella prova di famiglia umana solidalmente unita in mutui scambi di forza, di opere, di servizi, che risponde alla nostra ideale speranza.
L’organizzazione economica.
In materia economica il Partito socialista intende esplicare una duplice azione: per l’organizzazione dei lavoratori e per la trasformazione dell’economia privata capitalista in economia collettiva.
L’organizzazione dei lavoratori in leghe di miglioramento e resistenza è lo strumento più semplice e più pronto alla lotta di classe. L’interesse immediato dei lavoratori, siano essi contadini, operai, impiegati, maestri, ecc., li porta a riunirsi in associazioni, che sostituiscano il contratto collettivo a quello individuale, che regolino i turni di lavoro in confronto della disoccupazione, che conquistino o difendano un migliore trattamento, anche diminuendo di altrettanto il profitto capitalistico, ecc.
I socialisti devono quindi dare opera assidua per promuovere, estendere, migliorare le organizzazioni dei lavoratori, federarle secondo i mestieri e le professioni, confederarle nella unione di tutta la classe lavoratrice. Non vi è bisogno di chiedere alle organizzazioni economiche di assumere una marca politica, poichè la loro azione spontanea è già. per se stessa indirizzata nel senso della lotta di classe e delle finalità socialiste. Conviene soltanto illuminarne l’indirizzo e il fine, e quindi non sacrificare l’avvenire agli utili immediati, commisurare l’azione alla capacità, rilevare sopratutto la solidarietà fra tutti i lavoratori per non cadere nei facili egoismi di categoria, e non confondere la buona lotta contro il profitto capitalista con i monopolii e gli eccessi, che si riperquotono poi a danno di tutti i consumatori, o che ostacolano uno sviluppo della produzione, o che causano distruzione di ricchezze a danno di tutti i. cittadini.
Essenziale a questi scopi è la liberta dell’organizzazione, l’indipendenza da Governi o da partiti o da gruppi che servono interessi opposti, e un ordinamento interno che dia alla massa lavoratrice coscienza e capacità di dirigersi democraticamente e secondo l’interesse sociale, contemperando le necessità della realtà pratica con le aspirazioni finali.
Movimento cooperativo.
Accanto alla resistenza, l’azione cooperativa, nel campo dei consumi, del lavoro, della produzione, del credito costituisce la migliore preparazione dei lavoratori per abilitarsi a sostituire gradualmente la gestione collettiva nell’interesse generale, alla gestione e alla speculazione privata, eliminando il parassitismo degli intermediari.
I socialisti non si limitano quindi alla creazione e alla diffusione di Cooperazione, ma vi debbono portare dentro tutto lo spirito della loro dottrina, affinchè esse non degenerino in nuovi strumenti di speculazione, non si chiudano a vantaggio di pochi individui, non moltiplichino organi inutili e costosi, non dimentichino la coordinazione tra produzione e consumo, e non disperdano gli utili ma li adoperino a. costituire i primi nuclei di patrimoni collettivi, capaci di aiutare nuove istituzioni per la classe lavoratrice.
Le Cooperative non chiedono privilegi agli Enti pubblici, ma quelle provvidenze che le mentano almeno a parità di condizioni di fronte , alle imprese capitalistiche private, e quelle agevolazioni che sono dovute a chi dimostra di operare non per interesse particolare ma della collettività.
La gestione collettiva della ricchezza e della produzione.
Alcuni esperimenti mal riusciti dei periodo di guerra, e le deficenze di alcune aziende industriali dello Stato o dei Comuni nel dopo-guerra, hanno dato pretesto a una nuova campagna contro l’intervento degli Enti pubblici nell’economia dei cittadini, e contro ogni forma di gestione collettiva.
Quegli stessi industriali o agrari che, coi dazi di dogana protettori dei loro prodotti, mettono dalla loro lo Stato contro i consumatori quegli stessi partecipanti ad imprese bancarie e speculative che hanno richiesto l’intervento dello Stato per sanare i loro fallimenti nel dopoguerra, si sono dati a predicare la più assoluta indipendenza dell’economia privata dallo Stato, non appena l’intervento dello Stato accennava a mettersi dalla parte della classe lavoratrice.
Ebbene, noi siamo invece per la libertà economica là dove il protezionismo doganale serve non allo sviluppo di nuove industrie adatte al clima locale, è necessarie per difendersi dal monopolio altrui, ma soltanto al mantenimento del parassitismo di una categoria di cui tutti i consumatori pagano il prezzo, e ad elevare barriere tra popolo e popolo, che favoriscono nuovi conflitti; e siamo contrari agli interventi statali che servono all’incremento non della ricchezza nazionale, ma soltanto di quella di alcuni ceti plutocratici privilegiati. Affermiamo invece la utilità dell’intervento pubblico in favore delle classi lavoratrici, che sono le sole le quali abbisognano realmente di avere integrata la deficienza economica individuale con provvidenze collettive.
Noi socialisti rivendichiamo anzi l’ideale della socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio, attuata progressivamente secondo le convenienze pratiche e l’utilità economica; così che i mezzi e strumenti di produzione non siano il monopolio di una minoranza, ma di tutti attraverso la Società.
Noi non siamo socialisti di Stato e quindi non ci toccano i falliti esperimenti di una mal diretta burocrazia statale. Ma più praticamente e generalmente possiamo constatare che i fallimenti dipesero piuttosto dall’improvvisazione, dalla cattiva organizzazione, dalla mancata coordinazione e dalle circostanze speciali degli ultimi anni; e che d’altra parte, la collettività ha sopportato spesso maggiori aggravi per analoghi o peggiori esperimenti del l’iniziativa privata.
Se lo Stato si è dimostrato inferiore in alcune gestioni economiche, ciò non significa che essenzialmente non possa e non debba fare altro che il soldato il poliziotto e l’esattore; ma può significare soltanto che una organizzazione statale costituita e indirizzata a prevalenti scopi di tutela dei privilegi di istituzioni, caste e gruppi ristretti, non è addetta alle nuove funzioni che la partecipazione della classe lavoratrice alla vita pubblica esige. Se un ordinamento burocratico-amministrativo si è dimostrato inadatto a un’azienda industriale, ciò significa soltanto che l’ordinamento deve essere trasformato o migliorato, ma non tocca il principio dell’economia collettiva. Occorre in ogni caso alla gestione pubblica un contributo di volenterosa e operosa coscienza da parte degli addetti e dipendenti, la quale si acquista e si forma attraverso le dure esperienze più che con prediche astratte o con minacce di violenza.
L’interesse alla produzione.
Consci di tutte le difficoltà che rappresenta una trasformazione sociale quale noi auspichiamo e del tempo che essa richiede, noi non chiediamo improvvisazioni che, fallendo, debiliterebbero il nostro principio. Dobbiamo dedicare Ogni nostro sforzo alla preparazione tecnica delle nuove esperienze, e difendere frattanto vigorosamente il patrimonio collettivo e degli Enti pubblici dall’assalto della speculazione dei mediatori e degli assuntori., che possono chiudere i loro bilanci privati all’attivo ma a danno della collettività, per mezzo di sussidi statali, di differenze nelle consegne patrimoniali, di ,elevati prezzi per i consumatori, ecc.
Lo sviluppo della produzione in tutti i campi è in cima ai nostri pensieri; ma appunto perchè diventi coscienza e volontà di tutto un popolo lavoratore, occorre che sia sentito come un interesse collettivo; occorre liberarlo dalla speculazione dei ceti plutocratici che ne sequestrano l’utile a proprio esclusivo vantaggio.
Solo promuovendo e regolando la produzione nell’interesse detta collettività, si potrà sanare il contrasto attuale di grandi emporii di merci invendute, accanto a grandi masse di cittadini che ne abbisognano ma non le possono comprare: di grandi estensioni di terreni incolti e mal coltivate o di fabbriche abbandonate, accanto a folle di disoccupati che chiedono invano lavoro. Solo con l’intervento di forze, collettive si sono potuti e si potranno ancora meglio compiere grandi lavori di. bonifica, di irrigazione, di colonizzazione, di comunicazione, che attendono di essere compiuti, specialmente nel mezzogiorno d’Italia, e ai quali il diritto assoluto di proprietà privata oppone l’inerzia e gli ostacoli maggiori.
La cultura del popolo.
Ma il primo elemento necessario per una migliore produzione, è senza dubbio la istruzione, la cultura del popolo; cioè non quella istruzione che serve a pochi per spostarli dal lavoro produttivo o per farne degli sfruttatori del lavoro altrui; ma quella diffusa in tutta la massa, per farla divenire tutta capace di una più intensa e migliore produzione, nella grande gara fra i paesi civili del mondo.
Riaffermiamo e rivendichiamo tutto il nostro interesse alla istruzione e alla educazione dei lavoratori. Strumento primo e validissimo della loro emancipazione, condizione prima dell’albeggiare della loro coscienza di classe; requisito e mezzo indispensabile per dare vita durevole alle loro organizzazioni, alla loro convivenza. e per offrire ai dubitosi e agli avversari la prova della possibilità di un mondo più consapevolmente e liberamente umano e civile: l’istruzione e la elevazione morale dei lavoratori ‘ il primo e l’ultimo anello della catena dei nostri principii e dei nostri atti.
Se il determinismo ci insegna che tale elevamento non può essere, inizialmente, se non conseguenza di un minimo di pane e di benessere materiale; noi sappiamo altresì che esso diventa ben tosto a sua volta coefficente ed impulso di ulteriori conquiste economiche e sociali per la classe lavoratrice ; ed ogni conquista deve accompagnarsi alla aspirazione e alla volontà di vivere una esistenza più. alta e più degna, per i diletti dello spirito, per la finezza dei sentimenti, per una più elevata coscienza di sè e del diritto e del dovere e della vita morale.
Il socialismo non sta per noi in un aumento di pane e in più alto salario; benchè anche questo sia sacrosanto e indispensabile a ogni altro elevamento, benchè quelli che affettano di spregiarlo come materialismo, non abbiano alcuna intenzione di digiuno. Il Socialismo parte dalla realtà dolorosa del lavoratore che giace nella abiezione e della servità materiale e morale, e intende e opera a sollevarlo e a condurlo a miglioramenti economici e intellettuali, a Libertà Sociale e a Libertà Spirituale, sempre più alte. Vuole cioè formare e realizzare in lui l’Uomo che vive, fratello e non lupo, con gli Uomini, in una umanità migliore, per solidarietà, e per giustizia.
[1] La mozione dei massimalisti è la seguente:
“Considerando che la guerra, accelerando in Europa e specialmente in Italia per la inflessibilità dell’opposizione socialista, i processi di decomposizione borghese, ha aperto il periodo in cui il proletariato è organizzandosi per il predominio politico ed economico” deve pervenire alla propria emancipazione mercè la socializzazione dei mezzi di lavoro e la gestione sociale della produzione:
“che la conquista dei poteri pubblici, affermata come mezzo all’uopo necessario nel programma del 1892, non può essere nella sua fase definitiva il risultato di una graduale penetrazione legalitaria, ma è ove non si verifichi la volontaria e non prevedibile resa della borghesia è essa non può essere se non il risultato del cozzo finale più o meno violento, delle classi in lotta;
“che il proletariato, pervenuto alla conquista del potere politico, deve procedere nel regime di dittatura di classe alla ricostruzione economica sulle basi socialiste fino all’abolizione delle classi che sopprimerà lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo;
“che ciò, più che da una vera e propria revisione del programma del 1892, discende dalla sua interpretazione rivoluzionaria ormai acquisita e dal potere sovrano che il Congresso ha di svilupparla in armonia col dinamismo storico e colle necessità finalistiche della lotta di classe;
����
�delibera di����
instituire: �a) un Consiglio socialista con rappresentanze di lavoratori presso ogni seziono per lo studio di questioni politiche ed economiche, con particolare riguardo ai problemi che incomberanno localmente alla Dittatura Proletaria per la trasformazione sociale;
b) un Consiglio socialista centrale, presso la Direzione del Partito…. per indirizzare i Consigli locali… e per approntare impalcatura all’azione della dittatura classista del proletariato…”.
[2] Tutti i partiti socialisti del mondo si sono riuniti ad Amburgo nel maggio 1923 per la ricostituzione della Internazionale dei lavoratori socialisti, che era stata purtroppo spezzata dalla guerra Europea. Ad Amsterdam continua ad avere sede la Internazionale dei Sindacati operai.
L’Internazionale di Mosca, che assunse arbitrariamente il nome di III Internazionale, è in realtà una Internazionale esclusivamente’comunista, e ha subito dimostrato di rappresentare, più che una unione dei lavoratori delle varie Nazioni, uno strumento dell’attuale Dittatura russa.
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